Università in Ticino
Anni Novanta - Approfondimento
La Svizzera Italiana coltivava da oltre un secolo l’ambizione di avere anch’essa un suo ruolo nel quadro universitario svizzero. C’erano istituti universitari non soltanto a Zurigo, Ginevra, Basilea e Berna, poli demografici, economici e sociali primari. Ma anche a San Gallo, Friburgo, Losanna, Neuchâtel, Lucerna. La Svizzera romanda, per esempio, aveva quattro università. La Svizzera Italiana nessuna.
A metà degli anni Ottanta era naufragato un ultimo tentativo di creare una realtà accademica: il popolo ticinese, con voto massiccio, respinse il progetto del CUSI, Centro Universitario della Svizzera Italiana, che prevedeva l’insediamento a sud delle alpi di una realtà formativa accademica cosiddetta post graduate, destinata ai perfezionamenti post laurea. Sembrava dunque che per un lungo periodo, ancora, la questione universitaria fosse rinviata come non prioritaria per la maggioranza della popolazione ticinese, e forse per parte degli stessi ambienti culturali e accademici ticinesi. Infatti da più parti, soprattutto in campo intellettuale, si paventava, nel caso di una realizzazione universitaria in Ticino, una provincializzazione, una chiusura a riccio delle esperienze, con la mancata possibilità, per gli studenti ticinesi che avessero compiuto in Ticino i loro studi, di allargare gli orizzonti fuori dai nostri confini.
Invece accade negli anni Novanta che una somma di circostanze, persone, convergenze e intuizioni porti alla maturazione di un progetto innovativo e alla fine vincente. Il primo stimolo, a dire il vero, venne dal vescovo di Lugano, Eugenio Corecco, il quale con coraggio e con tenacia creò a Lugano la prima presenza accademica in assoluto, con una iniziativa privata: l’istituzione di una facoltà internazionale di teologia.
Subito dopo il municipio di Lugano (in particolare il municipale Giorgio Salvadè e il sindaco Giorgio Giudici) proposero, per gli spazi dell’ex ospedale luganese, l’insediamento non di una università di base, completa (che avrebbe avuto i rischi di un dimensionamento sproporzionato alla nostra realtà) ma di due facoltà specifiche: una di scienza della comunicazione (una esigenza nuova) e una di economia (considerata anche l’importanza della piazza economica e finanziaria di Lugano).
A questa idea primigenia si aggiunse quella di concretizzare con una presenza universitaria la speciale vocazione architettonica delle nostre terre, con la sua storia secolare ei suoi importanti nomi contemporanei. L’architetto Mario Botta fu il trascinatore (oltre che il primo direttore) della proposta nuova Accademia di Architettura.
Fu il Capo del Dipartimento dell’Educazione e della Cultura del canton Ticino, il consigliere di stato Giuseppe Buffi, a intuire con fiuto politico la grande possibilità per il Ticino e a costruire concretamente, con forte impegno, la realizzazione dell’USI, Università della Svizzera Italiana, che nacque come iniziativa privata con la coordinazione e la partecipazione del cantone (si trasformerà poi a tutti gli effetti in istituto di indole cantonale).
A fianco di Giuseppe Buffi, che fu il politico trascinatore, si mossero in sinergia il delegato per le questioni universitarie Mauro Martinoni e il segretario generale del Dipartimento Mauro Dell’Ambrogio. Parte dei piccoli poteri intellettuali e anche una certa parte politica (diciamo a sinistra) ebbero all’inizio parecchia diffidenza per questo grande progetto che poteva sembrare a un primo sguardo (non privo di pregiudizio) espressione di una concertazione politica liberal-leghista e cattolica. Tale diffidenza, peraltro rivelatasi sbagliata, si stemperò quando l’USI nacque e si sviluppò.
Primo presidente fu il professor Marco Baggiolini (gli succedrà il fisico prof Piero Martinoli). Nel 2000, scomparso improvvisamente il ministro Giuseppe Buffi, sarà il suo successore, Gabriele Gendotti, ad assumere la responsabilità politica dell’Università, nel frattempo consolidata: riconosciuta dalla conferenza universitaria svizzera, aperta alle benefiche correnti d’aria di studenti e docenti anche confederati e stranieri, l’USI, con le sue sedi di Lugano e di Mendrisio, divenne ed è punto di riferimento culturale, aperto al resto della Svizzera e all’Europa.
Alle due facoltà iniziali, a Lugano si sono poi aggiunte le sezioni dell’Informatica e dell’Istituto di studi italiani. Nel frattempo si andava costruendo e affermando l’altra realtà accademica, quella della Scuola Universitaria professionale, SUPSI, che oggi affianca l’USI come polmone prezioso di formazione d’alto livello per molte aree.
Ma gli anni Novanta non hanno salutato soltanto la nascita di USI e SUPSI. A Bellinzona si è insediata un’altra realtà di rinomanza internazionale e accademica, l’Istituto di Ricerche in biomedicina (IRB) in seguito affilato all’USI, di cui è il prestigioso polo scientifico. Alla fine degli anni Novanta nasce a Lugano il Cardiocentro della Svizzera Italiana, luogo sanitario di eccellenza che sarà accolto con valenza accademica dall’Università di Zurigo e che è in rete con i luoghi internazionali di ricerca cardiologica nel mondo.
Inserito nella grande rete dell’alta ricerca è anche lo IOSI, l’Istituto cantonale di Oncologia. Un’altra presenza di grande importanza scientifica è il Centro nazionale svizzero di calcolo, insediato a Manno. In una decina di anni il volto culturale, formativo e scientifico del Ticino è mutato vistosamente, con un impulso benefico e di eccezione.
Quello che era fino a pochi anni prima, in quanto a risorsa prioritaria, considerato un luogo di capitali e di sviluppo del settore terziario (la grande piazza finanziaria), in pochi anni si è arricchito di un’altra valenza, complementare, preziosa e in qualche modo, se del caso (vedasi i tempi attuali di crisi) alternativa: quella della cultura accademica, della grande ricerca. Della cultura, seplicemente, che è sempre forza civile.