Lo “scandalo” di Chiasso
Anni Settanta - Approfondimento
Il cosiddetto “scandalo” Texon Credito Svizzero di Chiassso fu, nel 1977, un colpo grave alla credibilità di un sistema bancario finanziario che fino ad allora sembrava saldamente ed eticamente immune da derive e rischi (c’era stato, qualche anno prima, il fallimento della banca Vallugano, ma con una portata non tale da intaccare la fiducia in una struttura globalmente funzionante).
Nell’aprile del 1977 si apprende che il Credito Svizzero (l’antica denominazione dell’attuale Crédit Suisse) ha subìto o avrebbe subìto una perdita di 250 milioni di franchi a causa di operazioni non autorizzate avvenute all’interno della filiale di Chiasso dell’istituto bancario. Il 24 aprile il direttore di quella filiale, Ernst Kuhrmaier e i due suoi vicedirettori vengono arrestati con l’accusa di amministrazione infedele.
Gli inquirenti scoprono che Kuhrmeier e il suo vice Claudio Laffranchi avevano riciclato per anni, assicurando la garanzia del Credito Svizzero all’insaputa, dissero, dei vertici di Zurigo, capitali italiani in fuga. E qui si impose per la prima volta la questione etica della tipologia dei flussi (milioni, miliardi) di capitali che dall’Italia e da altri paesi giungevano nei sicuri e discreti forzieri delle banche elvetiche e segnatamente della piazza finanziaria del sud della Svizzera. Evasione fiscale, traffici illeciti, organizzazioni criminose: quali controlli, verifiche, cautele?
Oggi il problema è stato affrontato in modo robusto, generalizzato, a livello privato di istituti ma anche a livello politico nazionale federale. Allora, negli anni Settanta, vigeva piuttosto una arbitraria anarchia dove il segreto e la discrezione spesso coprivano spregiudicatezze o comunque disattenzioni. Per riciclare quelle somme gli accusati avevano fatto capo a una finanziaria di Vaduz, nel Liechtenstein, la Texon, che reinvestì i fondi in partecipazioni a società italiane. La Texon era diventata, come fu affermato, una vera “banca nella banca”.
Con i primi anni ’70, a seguito della flessione economica indotta dalla famosa crisi petrolifera, le società italiane interessate subiscono gravi perdite. Si crea un enorme, devastante buco finanziario. Il Credito Svizzero deve coprire con le proprie riserve una voragine di oltre un miliardo e duecento milioni di franchi. Lo scandalo crea una vastissima, clamorosa risonanza e apre interrogativi gravi, come si è detto, sulla tensione etica e sulla verifica delle provenienze dei capitali stranieri, al di là delle operazioni irregolari dei vari imputati.
In Ticino lo scandalo fa molto rumore, si crea un clima di sospetto generalizzato su ogni possibile e presunta irregolarità o mancanza di verifica. Si chiedono correttezza e trasparenza assolute ai politici che potrebbero avere qualche collusione o conflitti di interesse nel ramo finanziario. A farne le spese è il giovane consigliere di stato Fabio Vassalli, che due anni prima, nel 1975, era entrato in governo con il suo collega di partito Flavio Cotti.
Fabio Vassalli aveva avuto dei rapporti, a dire il vero non implicanti di per sé responsabilità gravi, con la Texon. Avendolo negato (per dimenticanza o per evitare speculazioni) venne smentito dalla diffusione di documenti attestanti la sua partecipazione (non rilevante ma reale). Il clima del momento, la pressione politica e dei media e una gestione non sufficientemente trasparente della questione da parte dell’interessato, lo portano a prendere la drammatica decisione di rassegnare le dimissioni (nel corso degli anni Fabio Vassalli sosterrà sempre di non avere commesso nessuna colpa e di aver dovuto cedere a una pressione sproporzionata all’entità dell’evento).
Il clima arroventato e di sospetto generale convinse i subentranti nella lista popolare democratica (legati indirettamente anche a interessi finanziari) a rinunciare alla successione, pur non avendo nessuna responsabilità negativa. A succedere a Fabio Vassalli in governo fu chiamato il giovane direttore del liceo di Lugano, l’ingegner Fulvio Caccia, che non era nella lista dei candidati, per dare un’immagine nuova, estranea al mondo dell’economia e della finanza.
Al processo per lo “scandalo di Chiasso”, che ebbe risonanza nazionale e internazionale, i due principali imputati furono condannati a 4 anni e mezzo di reclusione, altri imputati a 16 mesi con la condizionale. Il procuratore pubblico Paolo Bernasconi non rilevò responsabilità dirette da parte dei vertici del Credito Svizzero ma non omise di criticarne la negligenza nei controlli.