I rustici, luogo di vita
Anni Ottanta - Approfondimento
Il Ticino possiede il segno di una civiltà d’altura che spesso sta trasformandosi in archeologia rurale. I cosiddetti rustici (stalle, cascine, maggenghi, monti e alpeggi di collina, di montagna media e di alta montagna) costituiscono, a migliaia, un patrimonio di storia, di architettura povera e popolare, di secoli di duro lavoro contadino.
La flessione massiccia e costante del settore primario, soprattutto l’agricoltura di montagna e lo spopolamento delle valli hanno a poco a poco reso abbandonati centinai di nuclei, agglomerati rurali, cascinali sparsi, alpeggi. E’ negli anni Ottanta, soprattutto, che il problema (e al tempo stesso la risorsa) dei rustici è diventato d’attualità.
Intanto, perché il fenomeno dello spopolamento montano si è accentuato; poi perché, complice l’apertura della galleria autostradale del San Gottardo con la conseguente velocizzazione dei passaggi dalla Svizzera al Ticino, si è ulteriormente allargato il fenomeno dell’acquisto di abitazioni secondarie, e in particolare di rustici, da parte di confederati e stranieri.
Il fenomeno degli acquisti fondiari da parte di stranieri, più in generale, sarà messo sotto controllo da interventi politici, quali quelli sanciti dalle cosiddette lex Furgler e lex Koller. Ma per rimanere ai rustici, la maggior parte di essi è stata trasformata dagli stessi eredi diretti degli antichi proprietari contadini: sono migliaia in Ticino le cascine di nonni e bisnonni che i discendenti hanno trasformato, con fedeltà di memoria, in abitazioni secondarie di vacanza, spesso assicurando anche una manutenzione parziale dei prati circostanti, con una attività agricola secondaria.
Tutti gli altri rustici venduti sono diventati invece luoghi di vacanza, con una netta trasformazione d’uso. Sul piano culturale, questo fatto ha comportato due interrogativi. Il primo riguarda l’identità culturale: in alcuni monti, soprattutto nelle valli locarnesi ma anche altrove, la maggioranza dei proprietari è di lingua tedesca. Il secondo problema è quello delle norme vincolanti di riattazione.
Da una parte esiste la necessità che nuclei e edifici di antica fisionomia unitaria non vengano deturpati da trasformazioni arbitrarie e di cattivo gusto o con interventi invasivi. Dall’altra parte una coercizione di regole troppe stringenti, limitative e impegnative scoraggia la volontà di investimento. La linea mediana e positiva di compromesso appartiene all’avvedutezza di una politica saggia, mediata fra Cantone e Confederazione.
Per quanto concerne le proprietà alloglotte in alcuni nostri nuclei montani, questa è dopotutto la legge della domanda e dell’offerta: i confederati e i tedeschi hanno pur acquistato i rustici dai vecchi proprietari locali, che hanno voluto vendere. Si può anche dire che spesso questi acquirenti non ticinesi portano nei luoghi un buon gusto, una discrezione di intervento architettonico e di ordine che risultano esemplari, con una bella integrazione sociale.
E poi: piuttosto che vedere una cascina diroccata, meglio che dal suo camino continui a uscire un fil di fumo, anche se con accanto a un palo con una bandiera di un cantone confederato… In quanto alle norme di riattazione, si può osare dire che una occhiuta somma di regole e proibizioni scoraggia il bonario e comprensibile desiderio di portare, dentro antiche costruzioni destinate un tempo a forme di vita poverissima, le esigenze di oggi.
Una certa larghezza di vedute – pur nel rispetto di una armonia complessiva – aiuterebbe molto la ricerca di un compromesso salutare: e questo per non trasformare gli ex insediamenti contadini più alti del nostro territorio in una morta archeologia alpina ma per farli diventare luoghi rilanciati di vita (diversamente strutturata, ma sempre vita).